Le Dodici Tavole costituiscono la più antica opera legislativa di Roma, redatta, secondo la tradizione, negli anni 451 e 450 a.C., da una commissione di decemviri, con lo scopo di assicurare la certezza di un diritto che fino ad allora, tramandato oralmente, era applicato caso per caso in forza di una interpretazione, non esente da profili di arbitrarietà, dei giuristi – pontefici che appartenevano al solo patriziato. Il diritto “scritto” venne inciso nel 449 a.C. su dodici tavole di bronzo che furono poi esposte al popolo (pubblicazione). Le prime due tavole contenevano regole di procedura civile, la terza concerneva la procedura esecutiva. la quarta genitori e figli, la quinta l’eredità, la sesta la proprietà, la settima il mantenimento delle strade, l’ottava gli illeciti, la nona i principi del processo penale e le controversie, Ia decima i funerali, la undicesima il matrimonio e la dodicesima i crimini.
Secondo l’interpretazione oggi più accreditata tra gli studiosi è confermata l’esistenza storica del decemvirato, nel caso un collegio di dieci membri denominato decemviri legibus scribundis et rei pubblicae constituendae, una magistratura straordinaria che avrebbe avuto lo scopo di realizzare sostanzialmente una riforma costituzionale, consistente nel distruggere il dualismo fra patrizi e plebei e di portare le leggi a conoscenza di tutti.
Il senatoconsulto (in latino senatusconsultum, parere del senato) era una deliberazione del Senato dell’antica Roma su un tema di politica statale. Quello relativo ai “baccanali”, manifestazioni religiose legate al culto di Dionisio, ha luogo nel 186 a.C. e rappresenta il primo vero caso di repressione religiosa istituzionalizzata nella storia di Roma. Con il senatoconsulto – il cui testo, inciso su una tavola di bronzo di forma quadrangolare, fu rinvenuto nel 1640 a Tiriolo in Calabria durante gli scavi per le fondamenta di un palazzo – si impone ai Romani e agli alleati di non tenere Baccanali: nessuno, uomo o donna che sia, potrà essere capo o sacerdote dei Baccanali, nessuno dovrà essere seguace dell’associazione, è proibito unirsi e legarsi con giuramento, raccogliere danaro, promettersi aiuto reciproco. E’ vietato altresì celebrare i riti sacri in pubblico, in privato e in segreto; soltanto il pretore urbano, dopo essersi consultato e avere ottenuto l’assenso del Senato, potrà concedere a non più di cinque persone il permesso di celebrare un Baccanale. Per coloro che contravverranno a tali disposizioni è comminata la pena di morte. La decisione del Senato deve essere scolpita su tavole di bronzo e diffusa nei luoghi ove più facilmente potrà essere conosciuta.
La decisione nacque dopo che si era diffusa la voce che nelle riunioni intitolate a Bacco si commettesse ogni sorta di nefandezze, ciò spinse l’opinione pubblica a vedere negli affiliati ai riti bacchici una specie di grande setta, pericolosa per l’ordine morale e sociale: un affare privato procurò casualmente a Postumio Albino, console dell’anno 186, le prime rivelazioni precise da parte della liberta Ispala Fecenia. A seguito dell’inchiesta furono ricercati e arrestati tutti gli associati alla religione bacchica, per poi processarli: coloro che furono riconosciuti soltanto iniziati ai misteri, ma innocenti di qualunque altra turpitudine o delitto, furono lasciati in prigione, quelli invece – e furono i più – che si erano macchiati di stupri, di omicidi, o di frodi, furono puniti con la pena capitale, non escluse le donne. Il senatoconsulto volle per l’avvenire evitare il ripetere di simili eventi, nella consapevolezza di Roma che la integrità dello Stato si fonda principalmente sul buon costume, sull’ordine, sul rispetto delle leggi.
L’editto perpetuo era l’atto con il quale il pretore, che durava in carica solitamente un anno, stabiliva le regole cui egli si sarebbe attenuto nell’amministrazione della giustizia. L’editto era reso pubblico per farlo conoscere al popolo.
In ogni editto, di consuetudine, era riprodotto una parte dell’editto che aveva emanato il pretore precedentemente in carica. In tal modo nel tempo si era formato un nucleo denominato editto tralatizio, che costituì successivamente l’oggetto della raccolta curata da Salvio Giuliano su ordine dell’imperatore Adriano del cui consilium principis il giurista faceva parte.
L’imperatore pubblicò l’editto nel 133, unificando editto perpetuo ed editto tralatizio e facendoli diventare una cosa unica, con il divieto per i pretori che sarebbero stati successivamente in carica di creare un nuovo editto con l’emanazione di propri editti. Era un’ulteriore fase di avanzamento nel percorso storico dal diritto consuetudinario al diritto scritto.
La consegna delle Pandette all’imperatore Giustiniano da parte di Triboniano, sono una rappresentazione emblematica della legge, della legge civile in particolare, che trova una efficace espressione nella Stanza della Segnatura nei Musei Vaticani, affrescata da Raffaello, dove la legge – come legge canonica (Gregorio IX che approva le Decretali), e come legge civile (appunto, Triboniano che consegna le Pandette a Giustiniano) – raffigura, insieme alla Virtù, il “Bene”.
Triboniano fu ministro della giustizia (quaestor sacri palatii) dell’imperatore Giustiniano e suo principale collaboratore nella compilazione del Codex (una raccolta ufficiale di costituzioni imperiali, che avesse anche lo scopo di escludere le disposizioni cadute in desuetudine o abrogate da costituzioni successive), e dei Digesta, (una compilazione in 50 libri di frammenti di opere di giuristi romani finalizzata alla raccolta in un’unica opera dei frutti della secolare produzione della giurisprudenza romana): in quest’opera egli ebbe una posizione di assoluta preminenza al punto di esserne ritenuto l’ispiratore. A Triboniano, infatti, sono attribuite le direttive osservate nell’opera di compilazione e le interpolazioni, ossia l’esercizio del compito conferito dall’imperatore ai compilatori di apportare le modifiche ai testi giuridici ritenute necessarie al fine di eliminare le contraddizioni e di adeguarli al diritto vigente, risolvendo anche le questioni a lungo discusse e rimaste insolute mediante costituzioni, in gran parte raccolte sotto il nome di Quinquaginta decisiones. Il Digesto è termine di origine latina che significa “disporre ordinatamente, razionalmente”: la raccolta è anche denominata “Pandette”, termine di origine greca che significa “che riceve o comprende tutto”, volendosi così indicare la completezza della compilazione. Il Codex ebbe due edizioni. Una prima, denominata Codex Iustinianus Vetus, approvata con la costituzione Summa rei publicae del 7 aprile 529, e una seconda, a seguito di aggiornamento, cui presiedette lo stesso Triboniano, che eliminasse le costituzioni superflue e quelle abrogate e modificasse i passaggi poco chiari, approvata con la costituzione Cordi del 17 novembre 534.
I Digesta furono promulgati da Giustiniano il 16 dicembre 533 con la costituzione bilingue latino – greca Constitutio Tanta.
Il Codice e il Digesto fanno parte, insieme alle Institutiones (opera didattica in 4 libri destinata a coloro che studiavano il diritto sul modello delle Istituzioni di Gaio) e alle Novellae (le costituzioni emanate da Giustiniano dopo la pubblicazione del Codex, fino alla sua morte), del Corpus iuris civilis, che ha rappresentato per secoli la base del diritto comune europeo.
Ottone III di Sassonia viene incoronato imperatore a Monza nel 996. Egli concepisce l'idea di ristrutturate il vecchio e glorioso Impero Romano e coltiva il sogno della c.d. renovatio Imperii, già sostenuta da Carlomagno, sostituendo il tedesco con il greco e il latino come lingue ufficiali dell'Impero e trasferendo a Roma la capitale del regno. La renovatio imperii Romanorum, promossa da Ottone III aveva come punto di riferimento l'autentica tradizione imperiale romana, da Augusto in poi: egli voleva rifare di Roma l'autentica sedes imperii, come può testimoniare l'edificazione di un nuovo palazzo imperiale sul Palatino, e credeva realmente e con fermezza che Roma dovesse essere ancora il Centro del Mondo Civile. Di qui anche l'idea della necessità di dare continuità all'applicazione delle leggi di Roma nell'Impero.
Il credo politico di Ottone III è racchiuso nella definizione che egli dette di se stesso: "Romano, Sassone, italiano, servo degli Apostoli, per grazia di Dio imperatore Augusto del Mondo”. In quanto Sassone (Germanico) egli aveva conquistato il potere con le armi dei suoi antenati, ma la legittimazione poteva derivargli solo farsi “Romano”, ossia nell'avere l'appoggio del Papato. Egli doveva anche essere “Italiano” perché a quel tempo l'Italia era ancora un faro di cultura, di storia e di arte in un Europa occupata da Germani e Normanni, minacciata costantemente dai Vichinghi dal Mare del Nord e dai Popoli Slavi da Est. Infine per affermarsi come “Imperatore Universale” deve essere anche Cesare Augusto e non può esserlo senza l'investitura “Divina” (per grazia di Dio) che è l'unica a poterlo porre al di sopra di tutte le parti.